Con il progressivo invecchiamento della popolazione italiana, il compito di preservare l’indipendenza e gli stili di vita attivi della popolazione si è trasformata in una sfida che la ricerca, l’innovazione, le iniziative sociali e la politica sanitaria possono aiutare ad affrontare.
Le fratture da fragilità – 568.000 nuovi casi nel 2019 in Italia – rappresentano un grave ostacolo all’invecchiamento in buona salute, compromettendo l’indipendenza e la qualità di vita di circa 4.400.000 persone (80% donne e 20% uomini) che nel nostro Paese soffrono di osteoporosi (principale causa delle fratture da fragilità).
La buona notizia è che queste ultime possono essere prevenute. Oggi i clinici hanno, infatti, a disposizione trattamenti farmacologici efficaci, ma questo aspetto è stato a lungo trascurato, nonostante l’ingente onere economico per l’assistenza sanitaria legata all’osteoporosi. Parliamo, infatti, di 9,5 miliardi di euro spesi in Italia nel 2019, di cui 5,44 miliardi per i costi diretti delle fratture da fragilità, 3,75 miliardi per quelli della disabilità a lungo termine e 259 milioni per gli interventi farmacologici.
Questi, in estrema sintesi, sono alcuni dati riportati nella seconda edizione di SCOPE ’21, uno studio epidemiologico, pubblicato di recente, realizzato da IOF – International Osteoporosis Foundation, che espone una panoramica della situazione dell’osteoporosi in Europa (27 Paesi più Regno Unito e Svizzera), con un’analisi dettagliata del nostro Paese.
“Per le persone che hanno subito una frattura da fragilità, il rischio di subirne una seconda è 5 volte più elevato rispetto a chi non è incorso in questo evento – dichiara la Professoressa Maria Luisa Brandi, Presidente dell’Osservatorio Fratture da Fragilità Italia (OFFI) – Nonostante l’adozione di una terapia adeguata sarebbe in grado di ridurre questo rischio del 65%, nella realtà il problema del sotto trattamento è preoccupante”.
Il Rapporto SCOPE ‘21 suggerisce, infatti, che in Italia 2 milioni e 900 mila donne dovrebbero essere sottoposte a un trattamento per l’osteoporosi, ma il 71% di esse non riceve alcun trattamento farmacologico.
“Questo enorme gap terapeutico non riguarda solo il nostro Paese, ma si osserva in tutta Europa, a dimostrazione della scarsa importanza data alle fratture da fragilità fino ad oggi – aggiunge la Professoressa Brandi – Poiché si prevede che l’incidenza di queste fratture in Italia aumenti del 23,4% entro il 2034, è giunto il momento di interrompere questa spirale negativa e di agire, individuando per tempo i pazienti fragili, trattandoli tempestivamente.”
L’onere della disabilità associato alle fratture da fragilità supera quello collegato ad altre patologie quali la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e l’ictus ischemico ed è preceduto dalla cardiopatia ischemica, demenza e cancro del polmone.
Un altro elemento emerso dal Rapporto SCOPE ’21, e che rende ancora più grave il burden of disease, è che le fratture osteoporotiche sono associate a una mortalità prematura. Il 30% circa dei decessi avvenuti dopo una frattura dell’anca o della colonna vertebrale può essere attribuito agli esiti dell’evento stesso. Più precisamente, nel 2019 nell’UE (più UK e Svizzera) sono stati stimati circa 250.000 decessi a seguito di fratture da fragilità.
Se il 5% delle persone con una frattura dell’anca muore entro 1 mese e il 25% entro 12 mesi, la chirurgia precoce (entro le 48 ore) è in grado di ridurre statisticamente e clinicamente la mortalità a 1 anno. In Italia, i tempi medi di attesa tra il ricovero in ospedale e l’intervento chirurgico si attestano intorno ai 2,5 giorni, superiori rispetto a Germania, Austria, Paesi Bassi, Svezia (12 ore), ma inferiori rispetto a Spagna e Portogallo (3 giorni).
“Le politiche sanitarie svolgono un ruolo significativo nel promuovere, finanziare e implementare soluzioni di assistenza, come modelli di trattamento coordinati per i pazienti che hanno subito una frattura da fragilità – afferma la Professoressa Brandi – Ma se questi possono essere considerati una soluzione “universale” per migliorare diagnosi, trattamento e follow up dei pazienti, dovrebbero essere prese in considerazione anche soluzioni strategiche più ‘locali’, adatte alla specificità dei diversi sistemi sanitari regionali”.
“Una delle soluzioni per fare fronte a questa emergenza sanitaria sarebbe quella di riconoscerne la priorità, definirne le dimensioni, semplificare i criteri per l’accesso ai trattamenti farmacologici e monitorare gli outcome”. conclude la Professoressa Brandi.